Esplorazione

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28 ottobre 2014

8 - L'ATTREZZAGGIO

La sicurezza nelle attività speleologiche è un argomento molto vasto che implica l’analisi di un grande numero di situazioni ambientali, comportamenti umani, materiali. In questo articolo restringeremo il discorso alle tecniche di armo, il cosiddetto “attrezzaggio”.

La constatazione che diversi attrezzisti armino la medesima cavità in modi simili ma diversi, rende evidente il fatto che l’attrezzaggio di una cavità con tecniche speleologiche è materia che implica sia il rispetto di regole di “sicurezza” standard, sia la loro interpretazione e adattamento al caso particolare da parte dei singoli operatori.

C'è da aggiungere che la medesima cavità è attrezzata dal medesimo operatore in maniera diversa a seconda della circostanza in cui si trova ad armare. La scelta di una tecnica a discapito di un’altra avviene spesso per consuetudine, cioè per appartenenza a una didattica piuttosto che ad un’altra. Altri fattori che entrano nel discorso sono: la disponibilità dei materiali, l’esperienza dell’attrezzista, intesa come suo proprio bagaglio tecnico maturato in ambienti speleologici diversi (Alpi, Carso, Sardegna), le capacità tecniche dei suoi compagni. Di tutte le considerazioni che guidano la scelta dell'attrezzista, la valutazione del rischio, coscientemente o, meno, è il tema che condiziona maggiormente il tipo di attrezzaggio adottato, e che presenta anche la maggiore aleatorietà di giudizio.

Perciò appare sensato individuare alcuni ambiti che presentano rischi accettabili diversi e che sono caratterizzati da altrettanto diversi parametri di scelta da parte dell'attrezzista. Ad esempio:

Esplorazione
Escursione promozionale (per non speleologi)
Soccorso organizzato
Palestra
Al di là delle preferenze personali, le tecniche d'armo devono rispondere a criteri oggettivi e chi voglia mettere in pratica le tecniche conosciute, non smetta mai di  seguire un ragionamento logico: si arma prima con la testa, poi con le mani.

DEFINIZIONI

Sussiste il pericolo di caduta ogniqualvolta si corre il rischio di cadere. Dato che vogliamo dare indicazioni operative, stabiliamo arbitrariamente (ma in accordo con molti enti che si occupano di speleologia o di sicurezza del lavoro in UK e negli USA) che tale pericolo esiste se l'altezza di caduta è superiore ai 2,0 metri. Un passaggio della progressione è “esposto” se si trova a meno di 2,0 metri da un luogo ove esista il pericolo di caduta.

Può verificarsi una caduta anche se si è assicurati a una corda, ad esempio, per il cedimento di un ancoraggio. Il fattore di caduta (FC) è un parametro noto e, per la definizione, si può fare riferimento a Wikipedia. Cadute su corda che presentano FC diversi, causano sollecitazioni diverse sull'ancoraggio e, soprattutto, sul nostro corpo, per via delle decelerazioni causate dalle forze di arresto. In particolare, gli effetti sul nostro corpo di tali decelerazioni non dipendono dall'altezza di caduta (a meno che non si impatti contro un ostacolo durante la caduta), ma solo dal rapporto tra l'altezza di caduta e la lunghezza di corda interessata dal volo. L'aspetto che ci interessa in questa sede è stabilire quale sia il massimo FC a cui ci si può esporre durante la progressione speleo. La letteratura individua il valore di 12 g come la decelerazione oltre la quale  il corpo umano subisce lesioni gravi.

Detto ciò, date le ordinarie attrezzature utilizzate in speleologia (principalmente: corda statica da 10 mm di diametro), in merito si possono mantenere due opinioni:

a) la massima sollecitazione tollerabile vale 12 g, dove g è l'accelerazione di gravità. In pratica, stiamo parlando di sollecitazioni massime fino a 1.100 kgp (il Limite Inferiore di Resistenza secondo la Scuola di Speleologia del CAI), per speleologi di massa complessiva pari a 90 kg. Senza entrare nei dettagli, a tale posizione corrisponde un limite del FC pari a 1;

b) la massima sollecitazione deve mantenersi ben al di sotto di tale limite, ovvero entro 6 g. A tale posizione, corrispondono sollecitazioni inferiori a 450 kgp, e un FC  minore di 0,3. E' da notare che, in questo caso, si resta entro la resistenza di rottura dei bloccanti.

Il mancorrente o corrimano è un segmento di corda a cui lo speleologo si assicura durante la progressione in corrispondenza di un tratto esposto. Un mancorrente non deve reggere il peso dello speleologo, né deve trattenerne un’eventuale caduta, bensì deve mantenerlo a distanza di sicurezza dall’area dove si incontra il pericolo di caduta. Naturalmente, la lunghezza e il lasco di un corrimano devono essere misurati coerentemente.

Il traverso è un segmento di corda a cui lo speleologo si assicura o si appende durante la progressione, quando si trovi a dover superare un tratto ove si incontri il pericolo di caduta. Nei riguardi delle tecniche d’armo, deve essere trattato come un normale tratto di progressione su corda. Accade che, a un corrimano segua un traverso, e così via; nel qual caso, occorre identificare le funzioni dei vari segmenti per decidere quali tecniche d’attrezzaggio utilizzare.

La teleferica è un tipo di traverso che consente di superare in pura sospensione un ostacolo. La corda può essere dotata di una certa tensione iniziale, commisurata con la lunghezza e il carico di lavoro, per contenere la freccia massima.

La corda di progressione è vincolata alla roccia mediante attacchi posizionati lungo il percorso. In generale, si distinguono gli attacchi dei corrimano, gli attacchi di partenza dei traversi o delle calate, gli attacchi dei frazionamenti e delle deviazioni, gli attacchi per le corde di sicura, gli attacchi (ancoraggi) di protezione per la salita in artificiale e per l'arrampicata.

Talvolta si realizzano attacchi ausiliari realizzati generalmente su ancoraggio singolo, per facilitare il posizionamento di guaine o sacche proteggi corda, staffe o cordini di ausilio alla progressione libera.

Ogni attacco è costituito da uno o più ancoraggi, naturali o artificiali (spit, fix).

DUE REGOLE

 Un passaggio della progressione che espone al pericolo di caduta, dovrebbe essere armato con una corda fissa e superato mediante l’impiego di attrezzi. L’armo deve essere preceduto da un mancorrente se l’avvicinamento è esposto. Durante l'attrezzaggio, seguiamo le due seguenti regole generali.

1) Un armo deve essere sempre ridondante (doppio, ovvero costituito da due ancoraggi distinti) nel caso che il cedimento dello stesso determini:

a) la caduta o un pendolo dello speleologo appeso, con possibilità di sbattere violentemente al suolo o sulla roccia, o di cadere in acqua o di posizionarsi sotto un forte stillicidio o cascata, o anche di ritrovarsi, durante una fase delle manovre, in una posizione su corda complessa da gestire. Si tratta, ad esempio, del caso di cedimento d’uno degli ancoraggi di un traverso, che lascia lo speleologo appeso con le longe all’ansa di corda. Questa situazione accade anche in frazionamenti posti in prossimità della base di pozzi molto lunghi, per via dell’elasticità della corda. A meno che l'armo di partenza non sia costituito da un ancoraggio eccezionale, è sempre preceduto da un ancoraggio di sicurezza.

b) la caduta dello speleologo che vi è appeso con un fattore di caduta elevato. Questa situazione accade anche nel caso di frazionamenti molto vicini uno all’altro e tali che il cedimento di quello superiore determina la messa in carico della corda a valle dello stesso; accade anche lungo quei traversi dove, in caso di cedimento di un ancoraggio, lo scorrimento della longe sulla corda, prima dell’arresto contro un moschettone, determina fattori di caduta elevati (effetto ferrata);

c) lo spostamento del sistema di progressione dalla verticale verso una posizione della corda tale da favorirne il danneggiamento per usura, o troncamento, o caduta di pietre. Questa situazione accade spesso in corrispondenza di frazionamenti posti in testa a verticali molto lunghe;

d) a valle di una strettoia.

2) Deve essere esclusa la possibilità di una lesione della corda contro la roccia durante la progressione, mediante l’introduzione di frazionamenti, deviazioni o protezioni lungo la corda.

ARMI SPEDITIVI E DEFINITIVI – ARMI FISSI

 L'esplorazione di una cavità o di una sua parte, è caratterizzata da punte esplorative durante le quali alcuni passaggi sono attrezzati temporaneamente per permettere la verifica di una possibilità di prosecuzione da parte di un numero limitato di esploratori, uno, o due. Gli uomini coinvolti sono motivati e concentrati, oltre a essere fisicamente e tecnicamente dotati. Malgrado ciò, nelle punte esplorative si è lontani dall'ingresso, e un qualunque incidente inevitabilmente vede amplificarsi gli effetti. Bisogna essere cauti. Eppure bisogna mettere a frutto le ore di permanenza all'interno. Il tempo pagato alle operazioni di armo è tempo rubato all'esplorazione. L'attrezzaggio è speditivo. Uno speleo prosegue verso il basso. L'attacco di partenza è su naturale o su armo umano. La progressione è caratterizzata da deviazioni o frazionamenti cortissimi su naturale. È esclusa la possibilità di strappi dovute a cadute.  Nessuno segue l'esploratore, per cui il pericolo di caduta pietre è minore e, in fase di risalita, è esclusa l'usura della corda, salvo dove il contatto con la roccia sia vivo, dove sarà protetto con una guaina o una deviazione per evitare danneggiamenti. L'esplorazione rapida di brevi pozzi stretti può avvenire con l'installazione di un sistema di calata e di recupero dall'alto dello speleo, generalmente messo in funzione mediante un qualche armo deviato o "centro pozzo" che eviti gli sfregamenti sulla roccia (anche dello speleo di punta, ma soprattutto della corda).

Recupero dell'esploratore

L'armo speditivo diviene un armo definitivo quando i compagni seguono gli uomini di punta. Si installano ancoraggi artificiali e si sistemano le anse dei frazionamenti, curando il contatto della corda sulla roccia, che non deve procurare alcun danneggiamento alla corda stessa.

Qualora l'attrezzaggio di una cavità, per motivi di grande frequentazione, sia fisso, è necessario essere più severi (una maggiore frequentazione implica, di per sé, un maggior rischio). Sebbene nelle intenzioni degli attrezzisti, l'armo sia magari solo temporaneo, di fatto, sarebbe opportuno operare come se tutto il materiale che costituisce l'armo sia destinato a rimanere in grotta per un lungo tempo. È necessario escludere qualunque fonte di usura delle corde e impedire qualunque contatto con la roccia, oltre a fornire un'adeguata superficie di appoggio alla corda stessa sui connettori e sugli anelli. Divieto assoluto di attacco della corda a placchette. Il materiale in metallo deve essere esclusivamente di acciaio. Il percorso della corda deve essere quanto più aereo possibile, al di fuori della traiettoria di caduta di pietre o del percorso delle acque.

Le esigenze del Soccorso richiedono la predisposizione di attacchi multipli, ciascuno costituito da ancoraggi multipli, per la predisposizione di corde di tiro o calata, sicura e guida, e non sono trattate in questo documento.

Un caso particolare è costituito dall'attrezzaggio di grotte palestra per lo svolgimento di corsi di introduzione alla speleologia o per palestre di roccia per l'esercizio della tecnica. A tal fine, l'attrezzaggio definitivo è di norma integrato con la predisposizione di una calata principale e di una o più calate di servizio, a uso degli istruttori. Inoltre, è opportuno operare in modo da limitare il fattore di caduta massimo al valore di 0,3.


RIEPILOGO DEL TIPO DI ATTREZZAGGIO
TIPOLOGIA
CONTATTO
CADUTA
FC
ANCORAGGI E ATTACCHI PREVALENTI
SPEDITIVO
2
<0,3
ANCORAGGI NATURALI, DEVIAZIONI
DEFINITIVO
1
<1
ANCORAGGI ARTIFICIALI/NATURALI, FRAZIONAMENTI
FISSO
0
<0,3     
ANCORAGGI ARTIFICIALI
SOCCORSO 
No
ANCORAGGI ARTIFICIALI
PALESTRA
1
<0,3     
ANCORAGGI ARTIFICIALI, VARI











CONTATTO: è escluso (2) il danneggiamento (1) l'usura su roccia viva (0) nessun contatto.

CADUTA: relativamente al cedimento di un ancoraggio, è prevista una caduta pari all'ansa del frazionamento? Sì/No.

FC: si riferisce al massimo fattore di caduta ammesso.

IL CONTROLLO DI SICUREZZA

Prima dell'utilizzo del materiale di attrezzaggio, il sistema dovrebbe superare il controllo di sicurezza da parte dell'attrezzista, in ciò che è la parte conclusiva del monologo dell'attrezzista.

1) verifica visiva e manuale di ogni singolo elemento dell'attrezzatura, (la corda e le piastrine si fanno passare tutte tra le mani, le leve e le ghiere dei moschettoni si fanno scattare tra le mani, così come l'attrezzatura personale, nostra e degli allievi) scopo di individuare eventuali difettosità o anomalie che potrebbero sfuggire a una semplice ispezione visuale;

2) verifica della ridondanza del sistema, ovvero che il cedimento di nessun elemento strutturale porti, con effetto domino, al cedimento del sistema.

È da notare che, nell'ambito del soccorso organizzato, o delle operazioni tecniche in ambito lavorativo, a tali test, condotti due volte e indipendentemente, da due operatori diversi, deve necessariamente aggiungersi un terzo test (Whistle Test):

3) verifica che, in qualunque istante della manovra, l'abbandono della manovra stessa da parte degli operatori non determini una situazione di pericolo per il carico.

L'ARMO MIGLIORE...

-rispetta i criteri minimi stabiliti per la sicurezza: perché se un armo, è meno sicuro di un altro, non è sicuro! Se un armo è sicuro, non serve che sia più sicuro!
-richiede minor materiale; perché l’energia richiesta per trasportare il materiale per molte ore è energia rubata alla grotta!
-è rapido da percorrere; non conviene, anche qualora la morfologia della grotta lo consenta, armare tiri di corda lunghi più di 30/40 metri. Oltre tale lunghezza, l’attesa in salita (in discesa, i tempi netti sono dieci volte inferiori) sarebbe esageratamente lunga, in termini di ore.
-è rapido da attrezzare: perché il tempo impiegato nell’armo è tempo rubato alla grotta, e perché quell’ora in più, trascorsa in attesa, dietro all’attrezzista, sarà contabilizzata, dopo molte ore, con gli interessi pagati alla spossatezza!
-è ergonomico; perché se passo un po’ più comodo, benedirò l’attrezzista per avermi fatto risparmiare un paio di minuti di fatica!

UN BUON ARMO È...

-sicuro nei riguardi dei pericoli d’ambiente: liberare dall’alto sassi e detriti PRIMA di spostarsi al di sotto di essi; controllare le condizioni della porzione di roccia dove si intende armare, verificare che la progressione sia sempre al di fuori del percorso di caduta di sassi o di potenziali flussi d’acqua che dovessero originarsi in stagioni diverse o durante eventi di piena.
-sicuro oggettivamente: se un ancoraggio cede, ciò non deve provocare cadute RISCHIOSE o impedire a chi si trovi in salita, o discesa, di continuare a muoversi sulla corda. Un buon armo è preciso e stabile nei riguardi della direzione di applicazione del carico, e non deve essere completato o modificato da chi segue. La corda non ha contatti DANNOSI con la roccia.
-sicuro soggettivamente, ovvero nei riguardi di chi lo percorre, ergonomico, facile da usare o da replicare, e rapido da eseguire, cioè semplice e chiaro. La direzione e la tecnica di progressione devono essere perfettamente intellegibili da parte di  chiunque.
-rispettoso dell’ambiente, dell’integrità della roccia e delle sue forme; evita l’abuso di ancoraggi e di percorsi. Arma una volta per tutte, perché proprio quel fix,  sarà ancora lì quando tu non ci sarai più.

Sandro Demelas (sandrodemelas@gmail.com)

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