Esplorazione

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28 ottobre 2014

11 - PROGRESSIONE SENZA CORDA

Non essere un'unica forma, adattala e costruiscila su te stesso e lasciala crescere: sii come l'acqua. Libera la tua mente, sii informe, senza limiti, sii come l'acqua. Se metti l'acqua in una tazza, lei diventa una tazza. Se la metti in una bottiglia, lei diventa una bottiglia. Sii come l'acqua. (B.Lee)

Un articolo sulla progressione,  sul movimento in grotta: perché? La semplice osservazione di speleo diversi che affrontano le medesime situazioni ambientali, un meandro, un pozzo, una grotta complessa, fornisce una risposta banale e, al tempo stesso, molto potente. Alcuni speleo sanno muoversi molto meglio di altri.


Muoversi senza strisciare (ph. V.Robinson)

Alla banale risposta, segue, però, un'ulteriore domanda, e la risposta a quest'ultima è meno scontata perché, cosa voglia dire: " sapersi muovere", è un concetto per niente facile da spiegare.

Questo articolo non vuole in nessun modo confrontarsi in maniera accademica, o comunque "seria", con le scienze motorie, o con la psicologia dello sport, anche perché, chi scrive non ha la minima preparazione in questi campi. Si tratta di dare un contributo a un tema interessante, sul quale pochissimi si sono espressi, cito ad esempio G.Badino in Tecniche di Grotta (1996). Si tratta, soprattutto, di stimolare le riflessioni personali in ciascuno speleo e, magari, di far germogliare in chi sa veramente scrivere di scienze motorie il desiderio di descrivere  compiutamente ciò che noi abbiamo qui solo intravvisto.

Essere padroni delle tecniche di progressione, sapersi muovere in grotta, ha sicuramente a che fare con molte e diverse abilità:

a) "saper fare i singoli movimenti", sfruttare gli appigli in arrampicata, eseguire efficacemente il movimento di risalita su corda con i bloccanti, impostare la posizione del corpo in una strettoia; la progressione è, prima di tutto, una questione di pura tecnica di movimento, di "fondamentali", calcisticamente parlando: palleggio, dribbling, ma non è solo questo;

b) sapersi muovere è anche una questione che implica la concatenazione dei singoli movimenti allo scopo di superare con naturalezza e rapidità un tratto di arrampicata, o di strettoia; la progressione è una questione più complessa del singolo gesto tecnico, implica un'intelligenza motoria che si sviluppa sull'intera lunghezza del passaggio, è una questione di preparazione dell'azione, come se si trattasse di uno schema del gioco del pallone, del 4-4-3, o dell'applicazione del fuorigioco. Si tratta di tattica;

c) sapersi muovere, infine, significa modulare nel tempo lo sforzo della progressione e la permanenza in condizioni ambientali di stress psico-fisico, amministrando le proprie energie, utilizzando in ogni momento la minima energia necessaria per progredire. E regolare il tutto, insieme con il movimento dei propri compagni, affinché la velocità e i tempi dello sforzo siano distribuiti uniformemente lungo il cammino. Ecco, sapersi muovere è anche una questione di strategia a lungo termine. Per completare l'analogia calcistica, diremo che non si tratta solo di segnare un gol, ma di vincere la partita.

La progressione in grotta si basa sul controllo del gesto e sulla conservazione dell'energia. Il movimento scoordinato ci espone al pericolo di cadere o di farci male, provoca stanchezza e un corpo dolorante per via degli urti con la roccia. Il movimento controllato aiuta anche a mantenere l'integrità dell'ambiente di grotta. D'altro canto, l'energia è un bene limitato e la sua gestione è un argomento che diviene tanto più importante, quanto più scorre il tempo del nostro orologio sotterraneo, e aumentano il freddo, e la fatica. Se dovessimo enunciare una singola regola che riguardi la progressione, questa probabilmente sarebbe: davanti a un ostacolo, prima guarda, poi pensa, poi agisci. Un diverso approccio si conclude inevitabilmente con maggiore fatica, errori, incidenti.

Comprendere le varie tecniche e abilità di manovra afferisce alla sfera cognitiva, mentre utilizzare la tecnica appropriata per una specifica applicazione afferisce alla sfera psicomotoria. Sentirsi sicuri in grotta, invece, è una questione puramente emotiva. Sapersi muovere è chiaramente il prodotto di molti fattori, e solo una parte di questi ha a che fare con la pura forma e forza fisiche che, lo diremo qui e non lo ripeteremo, sono un fattore molto importante della progressione in grotta. Tuttavia, anche lo speleologo più forte fisicamente, ma di tecnica scarsa, si troverà prestissimo in difficoltà quando avanzerà, con grande dispendio di energie, in arrampicata o sulla corda, utilizzando la forza delle proprie braccia invece che quella delle gambe, o strisciando e strappando in meandro, come se il proprio corpo fosse un sacco da rimorchiare lungo gli strettissimi passaggi.

I gesti si combinano negli schemi motori di base che compongono l'alfabeto essenziale del movimento: rotolare, strisciare, camminare in quadrupedia, cioè "gattonare", arrampicarsi, equilibrarsi, camminare eretti, piegarsi, e poi correre, saltare, afferrare, tirare, spingere, lanciare, calciare. Ognuno di questi gesti, nell'ambito della tecnica speleo,  può essere migliorato e reso più efficace.

Dal punto di vista motorio, il nostro corpo è un sistema meccanico costituito da masse collegate da articolazioni flessibili e da attuatori muscolari, elementi che si trovano in molte macchine. Non dovrebbe stupire che alcuni insegnamenti possano, perciò, essere tratti direttamente dalla Fisica.

Il rendimento fisico aumenta se il moto si svolge:

i) per successivi stati di equilibrio reversibili;

ii) in assenza di dissipazione di energia.

Il moto per stati di equilibrio, sia che si tratti di camminare, sia che si tratti di arrampicare, si ha quando in ogni istante del movimento ci si trova in una posizione di equilibrio.  Ci si trova in equilibrio, tenuto conto delle "forze di inerzia", quando la verticale del proprio baricentro ricade all'interno degli appoggi. Per questo, quando si arrampica bisogna mantenersi quanto più possibile verticali, piuttosto che paralleli alla roccia, o "spalmati" sulla roccia, e rispettare la regola dei tre punti di appoggio, in maniera che i propri arti disegnino sempre una "Y", dritta o rovesciata, a seconda che ci si trovi su un piede o su due piedi. Dato che spesso gli appoggi sulla roccia non si trovano dove sarebbe comodo trovarli, è sorprendente notare che un movimento del torace o del bacino ci consenta talvolta di spostare il baricentro di quel poco sufficiente a ritrovare l'equilibrio. Ciò vale anche nella camminata su superfici irregolari, dove l'equilibrio è efficacemente mantenuto (in virtù della conservazione del momento angolare) con l'azione delle braccia, usate come se fossero l'asta di un equilibrista.

Ogni movimento dovrebbe essere reversibile, nel senso che dovrebbe essere possibile invertire il verso della progressione in ogni momento. Sono esclusi, quindi, i salti e le scivolate. Ogni oggetto che trasportiamo, attrezzi o sacchi, non dovrebbe pendere sotto di noi o oscillare, in quanto l'oscillazione determina un inutile dispendio di energia, ma soprattutto per evitare di spendere tempo e energie per liberarsi dagli innumerevoli "incagliamenti" e per essere migliori padroni del proprio equilibrio.

Fa parte del bagaglio tecnico dello speleologo l'utilizzo dell'arrampicata in aderenza, laddove non si sfrutti un appiglio o un appoggio, ma una superficie inclinata che fornisca un'utile reazione statica di sostentamento per via dell'attrito sviluppato dai piedi, ma anche da altre parti del corpo. Tale utile reazione statica è tanto maggiore, tanto più l'applicazione della nostra forza è orientata perpendicolarmente alla superficie della roccia. In parete, il massimo dell'effetto si ottiene con un'applicazione verticale del peso dello speleologo (abbiamo detto: mai spalmarsi sulla roccia). In presenza di una superficie opposta su cui esercitare una pressione, in meandro o in fessura, tale reazione può essere incrementata, come se noi fossimo un cuneo, con le tecniche della spaccata o dell'opposizione.

Strisciare è faticoso e dilapida inutilmente energie. Questo movimento non dovrebbe essere utilizzato neppure per spingere il sacco, che si dovrebbe passare di mano in mano e che, al limite, andrebbe sollevato e spinto piuttosto che tirato. Muoversi a carponi fa risparmiare energia e consente di mantenere un ritmo confortevole.  Molti indossano permanentemente delle protezioni per le ginocchia e sfruttano l'appoggio su queste articolazioni con molta più frequenza di altri. Probabilmente, la schiena di questi speleo ne trae giovamento.

Lo "strisciamento" dovrebbe essere, invece, un tipo di progressione per successivi stati di equilibrio, dove lo speleo, benché animato da un complessivo spostamento traslatorio rispetto alla roccia, in nessun momento striscia. Il movimento è costituito dalla ripetizione di movimenti elementari. Una fase di contatto di alcune parti del corpo e di allungo, è seguita da una seconda fase di bloccaggio e di recupero del resto del corpo.  Si procede per fasi di appoggio successive, cercando di imparare la tecnica dagli animali che più di tutti hanno sviluppato la capacità di muoversi nelle strettoie: i lombrichi; oppure dai serpenti, che non strisciano sul suolo, ma procedono con una successione di spinte laterali.

Dove il passaggio è molto stretto, è obbligatorio svestirsi di ogni oggetto, anche del casco, se serve, e muoversi con un braccio avanzato e uno arretrato, in modo da diminuire la larghezza delle spalle, che è la nostra dimensione massima trasversale. Nelle strettoie, assume un'importanza fondamentale il controllo della respirazione e l'ascolto del proprio corpo. Probabilmente, la caratteristica principale degli speleologi è che si tratta di persone che sanno superare le strettoie. "Sanno" e non "possono", se no, non esisterebbero speleologi che indossano una tuta di taglia M, men che meno L o XL. Eppure ce n'è, e forse sono la gran parte. Sullo Zen e l'arte di superare le strettoie si potrebbe scrivere un libro, e forse qualcuno l'ha scritto (vedi ad esempio Strettoie, istruzioni per l'uso diG.Agolini) ma paradossalmente ciò ha a che fare più con le capacità motivazionali di ciascuno, che con quelle strettamente legate alla fisica.

UTILIZZARE GLI ATTREZZI -  Appesi a una corda, i movimenti utilizzati dagli speleo sono volti a mantenere, prima di tutto, l'equilibrio. Per fare ciò, è necessario individuare mentalmente la posizione del proprio baricentro e riflettere circa il fatto che l'equilibrio (e, quindi, il minore dispendio energetico) si ottiene mantenendo il proprio baricentro quanto più prossimo alla verticale del punto di sospensione dello speleo (discensore, croll, maniglia), pena un ribaltamento o, quantomeno, un affaticamento muscolare per mantenere la postura, specie se si trasporti uno zaino sulle spalle. Se il tiro non è verticale, lo speleo si distaccherà dalla roccia con i piedi. Anche in questo caso, vale il discorso circa la posizione del baricentro. Basta un piede posizionato nel modo adeguato, per mantenere l'equilibrio.

In secondo luogo, la corda è un mezzo di progressione e richiede di padroneggiare una tecnica che è costituita da equilibrio, coordinazione e intelligenza tecnica nella regolazione dell'attrezzatura e nel corretto esercizio delle forze la cui risultante, è banale dirlo, deve essere orientata parallelamente alla corda e la cui retta d'azione deve passare per il punto di sospensione. Il movimento del piede nella staffa deve muoversi lungo la retta individuata dall'allineamento della maniglia-croll.

Quando si è appesi a una corda, o a una longe, l'uso delle braccia per sollevarsi dovrebbe essere limitato a un istante in cui ci si solleva per aprire il moschettone, non di più. E' una considerazione banale, eppure l'inosservanza di questa tecnica fa sì che la gran parte degli inesperti temano più di tutto il passaggio del frazionamento.

I concetti fondamentali della progressione in grotta sono di utilizzare movimenti controllati ad un ritmo di progressione costante, di economizzare le energie e di assistersi l'un l'altro quando necessario. Nelle grotte molto frequentate, il percorso è spesso evidente perché il passaggio di molti speleologi crea una traccia riconoscibile attraverso il sistema. Dove ciò non accade, e comunque ogni volta che ci si trovi davanti a difficoltà da superare in arrampicata o in strettoia, bisogna abituarsi ad aspettare chi ci segue, per indicargli la strada, perché non si perda tempo e perché il gruppo proceda alla velocità ideale, che non è di certo quella dell'elemento più veloce, ma non è nemmeno quella dell'elemento che si ferma, prima e dopo ogni ostacolo superato. Se in grotta non si corre, a maggior ragione, non ci si ferma, perché fermarsi significa raffreddarsi, con tutte le implicazioni che ciò ha sul fisico, ma anche sullo spirito degli speleologi. E' necessario mantenere uno spazio adeguato tra gli speleologi, in modo da non disturbarsi a vicenda, e di fare in modo di giungere ad affrontare un ostacolo solo quando chi ci precede lo ha già superato, ma non così elevato da non potersi aiutare nella progressione e nel trasporto dei sacchi. Soprattutto in meandro, è utile fornire un appoggio a chi ci precede (salita) o a chi ci precede (discesa).

L'ASPETTO COGNITIVO - La grotta non è il nostro ambiente naturale, il cervello può interpretare le cose sottoterra in modo diverso da come appaiono alla luce del sole. Il suono è spesso amplificato, un piccolo ruscello può suonare come un torrente in piena, un macigno sul pavimento scivolando risuona come una grande caduta di massi. Luci e ombre giocano strani scherzi, si vedono le cose con la coda dell'occhio e si intuisce il movimento dove non c'è. I passaggi stretti, la costrizione del torace possono determinare reazioni di panico. L''ansia spesso può influire molto negativamente sul movimento. Essere su una corda o su una scala in condizioni di grande esposizione può letteralmente immobilizzare alcune persone.

Avere delle persone intorno a noi può aiutarci, se ci si sente spaventati o in ansia. Per gli speleologi principianti che non hanno mai sperimentato l'ambiente sotterraneo, l'intensità emotiva può essere sorprendente. I membri esperti di gruppi contenenti novizi devono essere consapevoli delle componenti emotive che possono portare in maniera molto reale a comportamenti pericolosi

Se la progressione è movimento, la sicurezza è nel movimento controllato (guarda, pensa, agisci). La gran parte degli incidenti in grotta è causata dal movimento: lo scivolamento e la caduta, l'urto con la roccia. Se un controllo del movimento e una miglior tecnica di movimento ci rendono soggetti attivi, capaci di valutare meglio le difficoltà della progressione e affrontarle nel modo più sicuro, la caduta delle pietre, il secondo grande pericolo che incombe sui viaggiatori del sottosuolo, ci rende passivi bersagli del caso. Ma si tratta veramente del Caso?

LA CADUTA PIETRE - Voglio raccontare un episodio che mi capitò quasi vent'anni fa. Percorrendo il canyon di Gorroppu, giungemmo nei pressi di un salto alto una dozzina di metri. La partenza era sporca di detriti. Predisposta la corda doppia, scesi per primo e mi sedetti di lato, a pochi metri di distanza dalla base del salto. Era una bella giornata primaverile e il sole era caldo. Mi sedetti con la testa tra le mani su un mucchio di pietre. Il secondo che mi seguiva non era esperto. Prima di scendere, per non scivolare sul detrito, si mise a scavare con i piedi cercando il terreno saldo. Stavo per rialzare la testa per chiedergli se, secondo lui, Gorroppu non fosse già abbastanza profondo così, senza che lui si mettesse a spietrare, quando una grossa pietra, mossa da lui, spaccò in due il mio casco e proseguì la sua traiettoria passando a un pelo dal mio naso senza ferirmi. Mi ritrovai le due metà del casco tra le mani, come le valve di un'ostrica.

Si trattò di un caso? Spesso chiamiamo in causa il Caso, o la fatalità. Anche il caos ha le sue leggi e, per quanto ci riguarda, queste non contemplano mai la sospensione del principio di causa-effetto.  Tenterò di tracciare una linea (abbastanza grezza, a dire la verità), in maniera tale da fornire uno strumento per individuare ciò che è fatalità da ciò che, a termini di legge, è negligenza, imperizia o imprudenza.

Perché la caduta di una pietra causi un danno a qualcuno, DEVONO concatenarsi i seguenti cinque eventi, ognuno dei quali è soltanto in parte soggetto alla fatalità.

Evento nr. 1:   quella pietra deve esistere. Può trattarsi di un detrito già mobilizzato, ovvero di una porzione di roccia fratturata ancora in posto, ovvero di un oggetto trasportato dagli speleo (sacca, moschettone). Da questo punto di vista, è indubbio che le cavità non siano tutte uguali. L'occhio dello speleologo dovrebbe riconoscere le zone dominate dalla chimica, dal trasporto dei sedimenti, o dalla fratturazione. Dovrebbe riconoscere se un pozzo scarichi o no, osservando la conformazione dell'imboccatura e il deposito dei detriti sui terrazzini e sul fondo.

Naturalmente, le dimensioni dell'oggetto che cade devono essere tali da costituire un pericolo, anche in relazione all'altezza di caduta. A titolo d'esempio, i nostri caschi probabilmente resisterebbero all'urto di una pietra di dimensioni fino a qualche centimetro (due centimetri di diametro) anche da altezze di caduta ben superiori a 50 metri. Non così accadrebbe per una pietra di cinque centimetri che cadesse da tale altezza. Sappiamo che, in fase di discesa, il primo DEVE spazzolare la via di discesa di ogni detrito presente e ipoteticamente mobilizzabile. Chi segue, deve muoversi con attenzione. Non farlo, costituisce negligenza.

Tuttavia, non si può ragionevolmente sperare di vedere ogni blocco instabile e disgaggiarlo. Quel blocco rimarrà lì finché qualcuno non lo tocca.

Evento nr. 2: la pietra deve essere mossa da una causa, e tale causa è sempre, direttamente o indirettamente, uno speleologo. Più speleologi sono presenti nel medesimo pozzo, maggiore è il rischio che qualcuno muova qualcosa. Il rischio aumenta in progressione geometrica: se tre speleo sono disposti lungo un pozzo, il primo può muovere una pietra che può colpire il secondo e il terzo, mentre il secondo può muoverne una che interesserebbe solo il terzo, con un totale di un fattore di moltiplicazione del rischio pari a tre. Nel caso di sei persone presenti nel medesimo pozzo, tale probabilità è pari a quindici, ovvero più del doppio. Andare in tanti in grotta può essere un'imprudenza.

In caso di piogge intense, o piene del fiume che percorre la grotta, l'acqua può trasportare detriti che precipitano nei pozzi insieme all'acqua. Risalire su una corda lungo un pozzo che si è riattivato per una piena può essere un'imprudenza fatale.

Non si può ragionevolmente sperare di non muovere nulla, ma proprio nulla. All'interno, possono agire il terremoto, o la pressione idraulica dell'acqua nelle fratture durante eventi meteorici particolarmente intensi; in prossimità dell'ingresso, una pietra può essere mobilizzata dal passaggio di un animale, o dall'azione delle radici di un albero mosso dal vento. Si tratta di eventi rarissimi, alla scala dei tempi di un'esplorazione in grotta, si tratta di fatalità.




Johann Westhauser è stato il fortunato protagonista di un intervento di soccorso durato 12 giorni. Fu colpito alla testa da una pietra alla profondità di oltre 1.000 m

Evento nr. 3: la traiettoria della pietra deve attraversare una zona dove è presente uno speleo. Tanto più è stretto il pozzo, tanto maggiore è la probabilità che una pietra che cade colpisca qualcuno all'interno del pozzo. In corrispondenza di strettoie, bisogne stare particolarmente cauti, perché una pietra che cade dall'alto, anche dopo numerosi rimbalzi, probabilmente passerà di lì.

Il movimento di un oggetto che è stato mobilizzato dipende dalla natura e conformazione della roccia e dalla forma dell'oggetto stesso. Pietre di grossa dimensione, all'impatto con la roccia, possono frantumarsi in una gragnola di frammenti.

Un oggetto che si distacchi dall'alto di un pozzo verticale, segue naturalmente la traiettoria del filo a piombo, o della corda su cui sta appeso un compagno, durante la caduta libera. Sarà nostra massima cura bonificare la zona immediatamente circostante all'armo di partenza. Se tale oggetto fosse animato da un moto con una componente orizzontale, poiché, ad esempio, proviene da una discenderia sovrastante, inevitabilmente compirebbe un moto a rimbalzi sulle pareti del pozzo sottostante.

Un pozzo d'inclinazione di 60° con una conformazione a "colatoio" è invece capace di convogliare ogni oggetto che vi cada, che vi si muoverà a rimbalzi e colpirà sicuramente chiunque vi si trovi. Quando è possibile scegliere, è meglio armare lontano dal fondo dei colatoi, e stare aerei. Anzi, prima di armare, è sempre obbligatorio farsi un'idea circa le possibili traiettorie delle pietre cadenti. Perché no? Anche con qualche esperimento balistico; lasciando, cioè, cadere qualche pietra e osservandone il percorso: lontani dall'acqua e dalle pietre!

Lungo superfici di roccia d'inclinazione inferiore ai 45°, spesso chiamate con termine minerario "discenderie", i massi si muovono per rotolamento, se di forma pseudo-regolare, o per scivolamento puro, se di forma appiattita, mantenendosi prossimi alla superficie del suolo. Un masso mobilizzato lungo una discenderia è una minaccia grave per le tibie.

In frane e discenderie, è spesso preferibile muoversi, in due o tre, a brevissima distanza l'uno dall'altro, in modo da trovarsi sempre molto vicini a massi in incipiente movimento, ovvero nella fase di moto a bassa energia cinetica.

Evento nr. 4: uno speleo deve trovarsi in quel momento all'interno della zona di caduta. Non si sosta alla base dei pozzi, lo sanno tutti. Soprattutto, non ci si sta in gruppo. Alla sommità dei pozzi, ci si lega addosso qualunque cosa possa cadere e non si armeggia con corde o altri oggetti, se non si è assolutamente certi che sotto non ci sia nessuno. Questo implica che si conosca la morfologia del pozzo, perché potrebbe benissimo essere che tutto ciò che cade dentro un P400 giunga fino alla base del pozzo.

Qualunque cosa cada nel pozzo, si grida "pietra", sempre. Credo che sia meglio di "sasso". Ha tre vocali. In fondo al pozzo si sentirà "ieaaa", giacché è impossibile gridare le consonanti. "aooo" potrebbe essere "pazzo" o "Marco". Meglio spostarsi rapidamente presso una parete, al riparo, qualunque cosa vi gridino dall'alto, e non guardare verso l'alto.

Nel caso che si stia arrampicando, o ci si trovi in posizione esposta, è utile prevedere anche solo la sorpresa dell'urto di una pietra mossa da chi sta sopra, restando legati, ovvero seguendo da molto vicino chi ci precede, in modo che l'eventuale scivolamento o rotolamento di un masso possa essere controllato da vicino o anticipato.

Evento nr. 5: lo speleo deve essere colpito da quella pietra. E' meglio non perdere la concentrazione e cercare di essere sempre informati su cosa capiti al di sopra di noi, specie se, in cima al pozzo, si muovono molte persone, e se alcune di esse sono prive di grande esperienza. Meglio tenersi fuori dalla traiettoria di caduta delle eventuali pietre (!), non sostare, alla base dei pozzi, sulla cima di un cono detritico, tenere il casco ben allacciato.

In ogni caso, non tutto è perduto. Spesso la fortuna, è dalla nostra parte.


Sandro Demelas (sandrodemelas@gmail.com)

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