Esplorazione

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29 ottobre 2014

12 - TRAPPOLE EURISTICHE

Dare un nome e una misura alle cose è il primo passo per descrivere il mondo sotterraneo e i suoi pericoli. Poi, ci si porrà il problema di individuare i limiti entro i quali il rischio sia sostenibile e, di conseguenza, le misure necessarie per ridurre il rischio sotto la soglia che consideriamo accettabile. Parliamo, infatti, di riduzione, e non di azzeramento del rischio, giacché l'eliminazione completa del rischio è impossibile. L'eliminazione completa del rischio può avvenire soltanto con la totale mancanza di esposizione all'ambiente di grotta.

PERICOLO – E' l'evento che può provocare il danno. Esistono pericoli oggettivi (legati all'ambiente) e pericoli soggettivi (legati alle persone che praticano la speleologia). Il pericolo è una proprietà dannosa di uno strumento, di una situazione, di un’azione. Per capirci, una sega elettrica è potenzialmente pericolosa, come pure una stanza riempita di sostanze tossiche, come pure arrampicare su una parete o scendere in canoa per un fiume selvaggio.
La casistica degli incidenti che riguardano la pratica speleologica, e quindi dei pericoli, è vasta. A titolo di curiosità, un articolo apparso sulla rivista del KKSC Ucraino nel 1992 elencava, tra gli incidenti registrati nella storia della speleologia:

scivolamento, urto con la roccia, caduta al suolo durante la progressione, caduta di pietre, caduta di oggetti, caduta di animali, produzione di schegge durante l’infissione di tasselli, esplosione di acetilene, detonazione di materiali esplodenti, caduta da posizione esposta, caduta durante l’arrampicata, caduta durante la salita su corda a mano libera, caduta per rottura di ancoraggio, caduta per perdita del mancorrente, caduta per apertura di un moschettone, caduta oltre il termine della corda, caduta per rottura di una scala, errore nella tecnica di salita o discesa su corda, distacco dalla corda, mancato funzionamento dei bloccanti, malfunzionamento del discensore stop, caduta incontrollata su discensore, collasso di scavi, strangolamento con la corda, speleo incastrato, sospensione su imbrago, danneggiamento della corda per caduta pietre, danneggiamento della corda per sfregamento sulla roccia, danneggiamento della corda per opera di animali, bruciatura della corda, perdita dell’accesso alla corda dopo pendoli o discese strapiombanti, mancato recupero della corda doppia, discesa in un pozzo senza attrezzi per la risalita, perdita degli attrezzi di salita/discesa, rottura di cordini/fettucce, rottura di imbrago, perdita dell’orientamento nell’attraversamento di un sistema carsico, impossibilità di trovare l’uscita, esaurimento delle fonti di luce, intrappolamento per piena, intrappolamento per frana, insufficiente galleggiamento, intrappolamento in sifone, mancanza di ossigeno, ipertermia, ipotermia, ipotermia durante risalita sotto cascata, sfinimento, speleo colpito da un fulmine, ferito nel tentativo di superare un cancello/recinzione, chiuso all’interno di un cancello, ustionato da fiamma, ustionato da acido di batteria, morso da animale velenoso, morso da animale infetto, presenza di polvere o allergeni di varia natura, diversa emergenza medica, malattie tropicali.



Vista la straordinaria varietà di ambienti, e l'ancor più eccezionale ricchezza di fantasia degli speleo, non si può certamente ritenere l'elenco esaustivo e, ipotizzata una qualunque terna ambiente-attrezzo-azione, è matematicamente certo che la lista possa continuare indefinitamente con la ricchezza infinita del calcolo combinatorio.
Tuttavia, non è il pericolo in quanto tale che danneggia gli speleo, ma l’esposizione di uno speleo al pericolo, cioè il rischio.

RISCHIO – Il rischio è la probabilità che un evento porti a un danno. Il concetto implica che una scelta di fare, o di non fare, influenzi il risultato. Il rischio esiste quando vi è contemporanea presenza di un pericolo e di qualcuno o qualcosa esposto a esso. Il rischio riguarda la probabilità che sia raggiunto il limite potenziale di danno nelle condizioni di impiego, o di esposizione.

DANNO - È la conseguenza di un evento che determini la riduzione quantitativa o funzionale di un bene. In questo contesto, si parlerà quasi esclusivamente di danni biologici, ovvero di lesioni. Giuridicamente, in base alla durata della malattia conseguente, la lesione può essere distinta in: lievissima (la malattia ha durata non superiore a 20 giorni), lieve (tra 20 e 40 giorni), grave (la malattia produce un indebolimento permanente di un senso o di un organo, oppure mette in pericolo la vita della persona offesa o provoca un’incapacità della persona superiore a 40 giorni) e gravissima (la malattia non è guaribile o provoca la perdita di un senso, di un organo, di una capacità fisiologica).

Il rischio può essere espresso dalla formula: Rischio = Pericolo x Danno. Il rischio quindi è dato dal prodotto tra la pericolosità (la probabilità che un evento si verifichi in un determinato tempo) e la Magnitudo del danno, cioè la gravità delle conseguenze dannose.

RISCHIO ACCETTABILE – Si parla di rischio accettabile, quando il rischio è stato ridotto a un livello che può essere tollerato, con riguardo ai propri desideri o alle obbligazioni di carattere legale; es: ogni anno, accettiamo un rischio pari a 1:10.000 di essere noi la vittima di un incidente stradale.
Il livello del rischio accettabile è determinato da obblighi di legge, norme tecniche, stato della tecnica, prassi consolidate, etica della speleologia.
Dicendo che si possono accettare anche rischi elevati non si vuol aprire la porta a eventuali “sconti” legati alle misure di sicurezza, ma si va a “fotografare” in un certo momento “lo stato della tecnica”, tenendo conto che “la tecnica” è data dalla tecnologia e dalle procedure operative, e queste ultime, in molte situazioni pericolose, riescono a diminuire spesso solo la probabilità di accadimento.

PERCEZIONE E PROPENSIONE AL RISCHIO, TRAPPOLE EURISTICHE
La percezione del rischio è un giudizio soggettivo, a differenza della valutazione del rischio, che è un processo decisionale nel quale sono analizzate le variabili fisiche (il terreno), ambientali (la meteorologia), tecniche e umane, e se ne pesa l'importanza al fine di fornire un giudizio quanto più oggettivo possibile.
La percezione del rischio è personale, è influenzata da abitudini o esperienze pregresse, esperienze personali o di altri, accettabilità collettiva del rischio e dipende dalla conoscenza dei pericoli, dall’immediatezza del danno, dalla libertà di assunzione del rischio, dalla concentrazione del danno nel tempo, dalla dannosità dei pericoli e loro frequenza, dall’esposizione personale, dalla valutazione soggettiva costi/benefici.
La percezione del rischio causa la sottostima dei pericoli maggiori e la sovrastima dei pericoli minori. La percezione del rischio è solo uno dei fattori che partecipano al processo decisionale. Una volta valutato il rischio, si pone il problema di agire per raggiungere un obiettivo gratificante. Non tutti mostrano la stessa propensione al rischio oppure la stessa attrazione verso la gratificazione. La propensione al rischio dipende, infatti, dalla personalità, dallo stile di vita, dall'esperienza e da fattori sociali e culturali. La propensione al rischio cresce, se gli eventi sono ritenuti controllabili dal soggetto; decresce, se gli eventi sono ritenuti incontrollabili, se l'esposizione al pericolo è involontaria o se ci si affida ad altri per la decisione. 

I quasi - incidenti.
1) Primi anni Novanta: arrampicavo in falesia quando, giunto al quarto rinvio di una via molto facile, un appiglio si ruppe. Caddi e, in attesa di sentire il familiare strappo della corda, mi resi conto che il mio compagno, alla sua prima esperienza di arrampicata, in quel momento non teneva la corda e che una generosa lunghezza di corda pendeva dal grì - grì appeso al suo imbrago. Fortunatamente, il grì-grì fece il suo dovere e, quando l'attrezzo bloccò autonomamente la corda, ci ritrovammo entrambi a penzolare a un metro dal suolo.

2) Alcuni anni fa: appeso in falesia durante un corso d'introduzione alla speleologia, ebbi l'idea di mostrare agli allievi la tecnica di sicura dal basso su discensore. Dopo aver avvisato un aiuto istruttore che si trovava sotto di me perché si preparasse, e dopo aver verificato che tenesse saldamente in mano la corda a valle del mio discensore, abbandonai la presa della corda. Fischiai giù per quattro o cinque metri, fino a quando, cioè, non riafferrai la presa sulla corda, rimediando una piccola ustione delle mani. Compresi allora che non era sufficiente saper usare il discensore per sapere anche come si fa la sicura dal basso. Da allora, verifico che chi fa sicura agli allievi dal basso, provi realmente la manovra di freno assistito, prima di affidargli l'allievo.

3) Poco tempo fa: in forra, mi avvicinai a un salto alto due metri e, mentre mi preparavo a scendere in arrampicata libera, un mio compagno armò la corda doppia su un albero e la bloccò con una tecnica che conoscevo, ma che non avevo mai utilizzato. Considerata l'altezza esigua, e la fiducia nel compagno, mi appesi distrattamente alla corda senza controllare l'armo, aspettandomi che il compagno tenesse la corda tra le mani nel caso che la tecnica di blocco della corda utilizzata non fosse del tutto efficace e, appena caricai la corda con il mio peso, questa scorse istantaneamente per più di un metro. Mi ribaltai all'indietro, cadendo alla base del salto.

I tre quasi - incidenti non hanno prodotto alcun danno fisico. Potenzialmente, potevano avere esiti fatali.
Mi sono chiesto perché in quelle occasioni non ho percepito il rischio. La risposta sta nel subdolo effetto di mascheramento del rischio a opera delle cosiddette trappole euristiche.
La percezione del rischio è un giudizio soggettivo, a differenza della valutazione del rischio, che è un processo decisionale nel quale sono analizzate le variabili fisiche (il terreno), ambientali (la meteorologia), tecniche e umane, e se ne pesa l'importanza al fine di fornire un giudizio quanto più oggettivo possibile. La quasi totalità degli incidenti in grotta avviene per cause addebitabili a errori umani. Spesso, una bassa percezione del rischio, e un’eccessiva familiarità con un certo pericolo o uno scarso autocontrollo sui propri comportamenti tende a far sottostimare le conseguenze e la probabilità di essere coinvolti in incidenti, attraverso le cosiddette "trappole euristiche". Un articolo illuminante a tale riguardo è costituito dal "Rischio valanghe e trappole euristiche", di A.Cagnati e I.Chiambretti, dal quale qui si è tratta libera e ampia ispirazione.

Com’è che una persona, magari preparata e abituata ad andare in montagna, finisce vittima di una valanga? A partire da questa domanda, i due citati autori hanno cercato di classificare i profili psicologici di scialpinisti e free-rider e le trappole “euristiche” che inducono anche i più esperti ad esporsi ad un eccessivo rischio di essere travolti da una valanga.

“Qualsiasi attività praticata in ambiente montano innevato è esposta al pericolo di distacco valanghe e conseguentemente al rischio di travolgimento – scrivono gli autori nell’introduzione. Le statistiche a livello mondiale mostrano una differenza significativa sul rateo di incidenti tra coloro che praticano attività ricreativa sulla neve ed i professionisti. E’ stato accertato che la maggior parte degli incidenti in valanga accadono per errori umani, ma non è ancora stata adeguatamente compresa la dinamica decisionale ed i fattori che la influenzano”. Ecco, quindi, un tentativo di farlo, proprio mediante la definizione delle trappole euristiche.

“Euristico” si riferisce al procedimento per il quale le decisioni su eventi incerti vengono affidate dal nostro cervello a scorciatoie logiche basate su poche regole e/o sulle esperienze precedenti, che evitano al soggetto lo sforzo di analizzare l’intera massa di informazioni sulla quale dovrebbe riflettere. Quando la conoscenza delle variabili in gioco eccede la nostra capacità di calcolo, il funzionamento del nostro cervello si basa su criteri decisionali approssimati.

Facciamo un esempio. Il portiere rinvia il pallone oltre la metà del campo. L'attaccante corre verso la porta della squadra avversaria. All'ingresso dell'area, l'attaccante colpisce al volo il pallone. Con un pallonetto di traiettoria arcuata, supera il portiere avversario e segna il gol. L'equazione matematica che consente all'attaccante di predire deterministicamente il risultato del rinvio del portiere non è risolvibile. Troppe sono le variabili in gioco: la posizione del portiere e la forza del rinvio; traiettoria del pallone, la posizione degli avversari, la posizione e il movimento del portiere. L'attaccante valuta ogni pochi istanti la configurazione in divenire e adatta il proprio passo di conseguenza, fino a giungere sul pallone nel medesimo punto dove questo cade al suolo. Per economia di calcolo, la predizione del risultato si basa su osservazioni più rapide e superficiali dello studio dell'intero processo, aggiornate via via che l'esperimento prende luogo.

Quali sono dunque queste trappole euristiche? Tra le più comuni: familiarità con un itinerario, eccesso di determinazione, ricerca del consenso sociale, aura dell’esperto e istinto gregario o effetto gregge, competitività sociale, scarsità ed euforia, effetto di apprendimento negativo, cementato dalla regola del tutta va bene quando va bene, anche se si esce in condizioni di alto rischio e la tendenza a preferire lo status quo - quando si è sottoposti a scelte difficili e non ci sono risposte giuste ovvie. In tali casi, è prassi comune non prendere decisioni o delegare la scelta ad altri.

Nel caso dei miei quasi - incidenti, le trappole in cui sono caduto sono da ascriversi alla familiarità con l'ambiente, alla proiezione verso terze persone di competenze mie, ma non ovvie in persone di minore esperienza, all'effetto aura (diminuzione dell'attenzione in compagnia di speleo che si ritengono affidabili).

È importate saper riconoscere l’incertezza e le eventuali trappole euristiche, durante il processo decisionale e prepararsi ad evitarle, per poter individuare l’azione corretta da eseguire. Gli errori non si manifestano come tali fino a che non causano un incidente.

Se parliamo di didattica, e quindi di corsi di introduzione alla speleologia, l'addestramento consente di acquisire le conoscenze e le capacità necessarie per valutare, ad esempio, quale nodo utilizzare in funzione dell'armo, in serie o parallelo. Ma il solo addestramento, senza l’acquisizione dell’esperienza, può condurre a un falso senso di sicurezza che, inevitabilmente, espone a un maggior rischio.

"L’esperienza permette sia di memorizzare una serie di situazioni tipo che facilitano il processo decisionale alla luce delle conoscenze e delle capacità apprese durante l’addestramento, sia di acquisire l’abilità di imparare e di modificare comportamenti e pratica quotidiana in funzione del vissuto. L’acquisizione della conoscenza attraverso l’esperienza non è un atto automatico, bensì richiede anni di interazione volontaria con l’ambiente (osservazione) e la capacità di analizzare criticamente e comparare gli eventi osservati. Col tempo, dunque, l’esperto avrà in mente un data-base di situazioni che gli consentirà di identificare la situazione e adottare soluzioni efficaci, spesso in modo intuitivo, riducendo così l’incertezza provocata da luoghi comuni e pregiudizi. La mancanza di esperienza conduce invece all’utilizzo delle trappole euristiche: le persone inesperte - anche a seguito di un'abituale ma passiva frequentazione della speleologia, non riconosceranno i problemi importanti e reagiranno alla complessità del problema utilizzando lo status quo (cioè ciò che ha già funzionato nel passato).

Rimane una significativa percentuale di "inesperti" e "principianti" che, pur avendo seguito con profitto i corsi, non sembrano riuscire ad imparare dalle proprie esperienze. 

Come in tutti i processi cognitivi ciò che più conta, quindi, è la volontarietà dell'atto di apprendere e la capacità di rielaborazione critica dell'esperienza vissuta cui deve seguire il tentativo di applicazione della conoscenza appresa al fine di acquisire, in un ciclo teoricamente infinito, nuova esperienza. Nella sostanza l'esperto acquisisce nuova conoscenza attraverso l'esperienza mentre l'inesperto apprende, principalmente, attraverso l'addestramento ma non riesce o non vuole poi applicare tali nozioni all'esperienza.

L'attività formativa, oltre a dare notevole risalto ad aspetti tecnici o scientifici - quali la speleogenesi o la programmazione delle attività in grotta, dovrebbe focalizzarsi ad insegnare agli allievi come contestualizzare fatti, principi e regole. Gli allievi non devono apprendere a pensare come esperti ma a imparare come esperti".

Sandro Demelas (sandrodemelas@gmail.com)

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