Parlare di sicurezza in ambito speleologico significa
studiare il pericolo, nelle forme in cui può manifestarsi in grotta, con
l'obiettivo di ridurre il rischio di un incidente. Studiare il pericolo
significa dotarsi degli strumenti che consentano una valutazione oggettiva
dell'ambiente di grotta, in generale e, in particolare, della progressione di
gruppi di speleologi diversi per assortimento, esperienze, condizioni fisiche.
Ridurre il rischio significa dotarsi dello strumento che consenta di misurare in
metri e centimetri quanto lontani ci si trovi dalle condizioni che potrebbero
generare un incidente, e della bussola che indichi in quale direzione muoversi
per mantenersi alla giusta distanza dal pericolo.
La misura della "giusta distanza" è stabilita collettivamente,
anche se assume valori diversi da persona a persona. In fondo, la sicurezza è
sempre una questione di "giusta distanza". Probabilmente, il
principiante si muove per la maggior parte del tempo a una grande distanza dal
pericolo. Non è escluso che, inconsapevolmente, gli capiti talvolta di trovarsi
a una distanza troppo breve da una situazione pericolosa. Viceversa, chi ha
acquisito competenza, tende a muoversi lungo una traiettoria che lo porti a una
distanza minore dal pericolo; distanza che, anch'essa, può rivelarsi troppo
breve.
Con questo non voglio affermare che ai fini della sicurezza
non conti essere molto o poco competenti, al contrario. Ma essere competenti,
essere "addestrati", avere acquisito la tecnica, non basta. Bisogna
anche saper decidere quali nozioni applicare. E bisogna saper imparare dalle
proprie esperienze.
Una significativa percentuale di "inesperti" e
"principianti", pur avendo seguito con profitto i corsi di
introduzione alla speleologia, non imparano dalle proprie esperienze. Come in
tutti i processi cognitivi ciò che più conta, è la volontarietà dell'atto di
apprendere e la capacità di rielaborazione critica dell'esperienza vissuta. A
ciò deve seguire il tentativo di applicare la conoscenza appresa, al fine di
acquisire, in un ciclo teoricamente infinito, nuova esperienza.
L'esperto acquisisce nuova conoscenza attraverso
l'esperienza mentre l'inesperto apprende attraverso l'addestramento, e matura
una competenza, ma non riesce o non vuole poi applicare tali nozioni all'esperienza.
L'attività formativa, oltre a dare notevole risalto ad aspetti tecnici o
scientifici, dovrebbe focalizzarsi ad insegnare agli allievi come
contestualizzare fatti, principi e regole. Gli allievi non devono apprendere a
pensare come esperti, ma a imparare come esperti.
(liberamente tratto da: Rischio valanghe e trappole
euristiche, di A.Cagnati e I.Chiambretti)
Queste osservazioni vorrebbero contribuire a creare le
condizioni adatte perché quello speleologo che guardi il mondo con curiosità, si
interroghi, poi, con le domande appropriate, condizione necessaria perché, poi,
trovi dentro di sé la risposta che cerca.
L'AREA DI RISPETTO
È indubbio che esista un'area di rispetto dove l'uomo
contemporaneo si confronta con la legge naturale, libero di poter scegliere e
di sbagliare, anche al costo della propria vita. L'esistenza di tale area è un'esigenza
collettiva e individuale. Non è mia intenzione approfondire se tal esigenza sia
moralmente giusta o sbagliata, o se tale area di rispetto sia il relitto
antropologico di un mondo antico dove il confronto con l'ambiente naturale era
il presupposto per la sopravvivenza. Non è nemmeno interessante analizzare qui
le ragioni che portino alcuni a confrontarsi estaticamente con l'ambiente
naturale, o altri a assaporare semplicemente l'effetto ipnotico
dell'adrenalina.
Eppure quest'area di rispetto esiste, tra le vette delle
montagne, nella vastità degli oceani, o all'interno della terra. Ognuno di noi
lo chiama in un modo diverso, nell'alpinismo, nella navigazione, nella
speleologia, pur indicando il medesimo luogo emotivo. L'opinione pubblica
chiama questo luogo: avventura, sport estremo, no limits; io lo chiamo
semplicemente "esplorazione"; del mondo, di me stesso. Alcuni lo
chiamano "gene di Ulisse". Si tratta del coraggio di superare un
limite ed esplorare l'ignoto. Banalmente, è ciò che permette, passo dopo passo,
il progresso dell'uomo. Senza coraggio, avremmo ancora paura di scendere
dall'albero, uh, uh, uh.
La nostra società è “sicuritaria”, orientata all'incremento
della sicurezza sociale e dell'ordine pubblico. In una certa misura, l'opinione
pubblica è avversa alla libera iniziativa; condanna e scoraggia l'esistenza
della suddetta area di rispetto, cercando di imporre al cittadino scelte definite
sicure, ovvero poco costose dal punto di vista dei costi sociali.
Nello stesso tempo, s'incoraggia il ricorso alle vie legali
per qualsiasi incidente, proprio perché sia giustificato l’intervenire sempre
più spesso con nuove normative e vincoli al comportamento delle persone; e il
legislatore è quasi “invocato” da una pubblica opinione sempre più livellata.
Gli esploratori corrono rischi: per loro però, che se
fossero protetti da una qualunque disciplina legale vedrebbero semplicemente la
disintegrazione del loro motivo di esistere, per loro è essenziale
l’auto-responsabilizzazione.
Il singolo deve rispettare il pericolo: acuire le proprie
intuizioni, migliorare il proprio equilibrio interiore, “sentire” l’ambiente,
allenare il fisico, auto-limitarsi nell’uso di strumenti tecnologici,
attribuire grande importanza alla scelta dei compagni e darsi regole etiche,
anche nell’eventuale chiamata di un soccorso, in una miscela sempre variabile
di informazioni, strumenti, tecnologie ed equilibrio psico-fisico in armonico
rapporto con la performance che vuole compiere. Lo scopo non è quello di
eliminare il pericolo, che è parte integrante dell’ambito di gioco, quanto di
diminuire responsabilmente il rischio.
La difficoltà di questo rapporto è complicata da un concetto
che non è estraneo all'esplorazione. Il rischio è associato al doppio
significato di rischio-opportunità. Un evento incerto può essere fonte non solo
di esiti negativi, ma anche positivi. Il termine inglese “risk” ben si presta a
tale distinzione, un po’ meno intuitiva nel contesto italiano. Nell’accezione
negativa il rischio è definito Downside Risk, mentre nella sua accezione
“positiva” esso è definito Upside Risk.
E’, infatti, normalmente ritenuto “positivo”, alla
conclusione di un’impresa molto rischiosa, che il protagonista goda di fama e
riconoscimento sociale: esattamente come si può guadagnare un’ingente somma di
denaro in borsa da un investimento “ad alto rischio”.
Prima di pensare al giudizio della cronaca e della storia,
il protagonista dovrebbe riflettere fino al fondo di se stesso, e saper
riconoscere quanto della sua esposizione al rischio sia stata in realtà dovuta
alla sete di riconoscimenti, quanto cioè si rincorra un upside risk, e quanto
si sia animati da motivazioni interiori.
(liberamente tratto da BANFF Mountain Film Festival)
L'alpinismo, sport epico per eccellenza, è accompagnato sin
dalla sua nascita, dalla posizione di problemi etici, che hanno goduto spesso
della notorietà delle prime pagine. La speleologia, invece, coerentemente con
la poca esposizione alla luce del sole delle sue attività, ha sofferto di una
minore attenzione "mediatica" rispetto all'alpinismo. O, forse, i
suoi filosofi hanno ricevuto, nel corso del tempo, minor credito, rispetto ai
cugini alpinisti, forse per quell'aura meno nobile che li avvolge, e che
rischiara il buio ma produce l'inconfondibile odore di acetilene; o forse per
il fango, chissà.
La storia riporta numerosi tentativi di riconciliazione tra
gli uomini, l'alpinista e la montagna; molti meno, quelli tra gli speleologi e
il mondo terreno. Se gli speleologi dovessero produrre una dichiarazione
d'intenti simile alla dichiarazione UIAA sull'Etica in Montagna, questa
suonerebbe così.
Estendi i tuoi limiti, innalza il tuo spirito e punta al fondo!
1) Gli speleologi
praticano il loro sport in ambienti nei quali vi è il rischio di incidenti e
dove un soccorso può non essere disponibile. Con questo principio in mente,
s'impegnano nella speleologia a loro rischio e sono responsabili della loro
sicurezza. Le azioni dei singoli non devono mettere in pericolo altre persone
né danneggiare l'ambiente. Ad esempio, forare o demolire la roccia non può
essere considerato come accettabile a priori.
2) I componenti
di un gruppo devono essere preparati ad accettare compromessi fra i
bisogni e le capacità di tutto il gruppo. L'esplorazione avrà certamente
maggior successo quando i componenti si aiutano e incoraggiano a vicenda.
3) Ogni persona
che incontriamo in montagna o in grotta merita la stessa misura di rispetto.
Anche in luoghi isolati o in situazioni di stress dobbiamo sempre trattare gli
altri come vorremmo essere trattati noi stessi.
4) Quando siamo
ospiti in paesi stranieri, dobbiamo sempre comportarci con rispetto e cortesia.
Dobbiamo mostrare considerazione per la popolazione locale e la sua cultura:
sono i nostri ospiti. Dobbiamo rispettare lo stile e l'etica di esplorazione
del posto, e non fissare attrezzature o ancoraggi dove questo è contrario
all'etica tradizionale del luogo o dove non esistono regole. Dobbiamo
rispettare i monumenti naturali, le montagne sacre e gli altri luoghi
d'interesse archeologico, culturale e ambientale; e cercare di aiutare e
sostenere l'economia e la gente del luogo. La comprensione della cultura locale
fa parte di una completa esperienza speleologica.
5) Dobbiamo
essere preparati ad affrontare emergenze e situazioni che portano a incidenti
seri o alla morte. Tutti i partecipanti alle attività di grotta devono
chiaramente comprendere i rischi e i pericoli e il bisogno di avere adeguate
capacità, conoscenze ed equipaggiamento. Devono essere pronti ad aiutare gli
altri in caso di emergenza o incidente, a sacrificare gli obiettivi per
assistere gli altri in difficoltà, ed anche essere pronti ad affrontare le
conseguenze di una tragedia.
6) Crediamo che
la libertà di accedere a montagne e grotte in modo responsabile sia un diritto
fondamentale. Dobbiamo praticare sempre le nostre attività in modo sensibile
all'ambiente ed essere proattivi nel conservare la natura e il paesaggio.
Dobbiamo rispettare sempre le limitazioni di accesso concordate fra alpinisti,
autorità locali e organizzazioni per la protezione dell'ambiente.
(liberamente tratto dalla Dichiarazione UIAA sull'etica in montagna, vedi ad esempio qui)
Sandro Demelas (sandrodemelas@gmail.com)
Nessun commento:
Posta un commento
Critiche e commenti son bene accetti!