Esplorazione

Esplorazione

28 ottobre 2014

6 - ANCORA SULL'ESPLORAZIONE

Dopo molte battute esterne, abbiamo trovato l'ingresso di una cavità promettente. Il massiccio roccioso promette di svelarci un tesoro. Ora, si tratta di raggiungerlo e di dissotterrarlo, di andare oltre i confini di ciò che è familiare, e di raggiungerne il fondo, di lasciarsi avvolgere dal buio. A tratti, il buio ci sfiorerà da vicino con le dita ruvide della roccia, stretta e fredda. Altre volte, resteremo attoniti, appesi a distanza di molti metri dalla parete bagnata. Siamo preparati al freddo e all'umido. Già immaginiamo il fango attaccato alla tuta come una pelle di lucertola. Ora, si tratta di sentirsi in armonia con l'ammasso roccioso. Inizia l'esplorazione vera, nuda e cruda.

La speleologia è sia il più vecchio dei passatempi, sia il più incerto. Si tratta di una partita giocata al buio su un campo invisibile. Fino a che non sono stati sviluppati gli attrezzi per consentire una progressione verticale, alla fine del XIX secolo, un pozzo ripido o un tunnel allagato potevano concludere una spedizione. Gli speleologi chiamavano questi luoghi pozzetti terminali.

Se un ingresso non era troppo piccolo, o una prosecuzione troppo stretta, la grotta poteva essere troppo profonda per essere illuminata dalla luce di una torcia o di una candela . Nei libri classici di speleologia francesi degli anni Trenta e Quaranta, "Dieci anni sotto la terra " di Norbert Casteret, e "Alpinisti sotterranei", di Pierre Chevalier, le spedizioni sono descritte come battute di caccia, gite per soli uomini, esercizi atletici virili e un po' di moto, prima dell'ora di pranzo alla locanda. Gli uomini indossano cerate e pantaloni alla zuava, portano zaini di cuoio e scale di corda, e illuminano la via con una lanterna sottratta alla carrozza. A un certo punto, in "Subterranean Climbers", un dolce profumo di Chartreuse riempie l'aria, e la compagnia di speleologi si accorge, con rammarico, che la bottiglia di liquore si è rotta. Un po' oltre, un sasso cade dalla volta e picchia sulla testa di uno speleologo di nome François, causandone la morte. La vittima, si prende atto con rammarico, era "scarsamente protetta da un semplice berretto ordinario".

Chevalier e il suo team rilevarono più di dieci chilometri di caverne nel Dent de Crolles, presso Grenoble. Stabilirono anche il record di profondità, con seicentocinquanta metri di profondità, e svilupparono una serie di attrezzi speleo ancora usati oggi, comprese le corde di nylon e i bloccanti meccanici.

Casteret fece ancora di più. Nell'estate del 1922, lungo un'escursione sui Pirenei francesi, notò un piccolo ruscello che sgorgava dalla base di una montagna. Si tolse i vestiti e accese una candela, poi si infilò attraverso la fessura e, superato un sifone, proseguì nell'acqua dentro una galleria per un paio di centinaia di metri.  Quando il soffitto scese sotto la linea di galleggiamento, piuttosto che tornare indietro, Casteret poggiò la candela su una sporgenza, fece un respiro profondo, e nuotò avanti, a tentoni, seguendo la roccia fino a quando non sentì il soffitto sollevarsi sopra di lui. Oltre quel punto, proseguì nell'esplorazione per molti chilometri all'interno della grotta, fino a che giunse a un salone di grandi dimensioni con una biforcazione. Da un lato, una galleria presentava concrezioni calcaree spettacolari. Dall'altro, una galleria più piccola mostrava un pavimento secco e fangoso. Sollevando la candela fino al soffitto, Castaret vide allora, in questo secondo ambiente, alla luce guizzante della candela, incisioni di mammut, bisonti, iene, e statue di argilla rappresentanti altre bestie preistoriche, i resti di quello che ora conosciamo come il santuario di Montespan, risalente a circa 20 mila anni fa. "Ad Augusta per Angusta", la grandezza si raggiunge attraverso le difficoltà, amava ripetere Casteret.

(Traduzione libera da In deep, The dark and dangerous world of extreme cavers, NYT, Burkhard Bilger)

L'esplorazione delle grotte è una faccenda seria. Richiede una buona preparazione fisica ma, soprattutto, richiede una profonda motivazione. Ci vuole intuizione. Molte grotte sono state scoperte fortunosamente. Molte altre, non si sono dischiuse al primo visitatore, ma è servita l'intuizione di qualcuno che non si è arrestato di fronte a ciò che altri avevano ritenuto, sbagliandosi, il fondo. Le grotte, come i fiumi, non finiscono, ma si gettano in altri fiumi, e così via, fino al mare. Tutte le grotte, proseguono, e la misura della profondità di un pozzo è solo la misura della nostra temporanea capacità di spingerci avanti, o in basso: semplicemente, oltre.

Non è questa la sede per scrivere un trattato di speleogenesi. Molte informazioni si possono trovare nei testi che citerò in bibliografia, se mai questo lavoro diventerà un libro :), o nel web, da cui ho largamente attinto nel paragrafo che segue.

SPELEOGENESI

La speleogenesi è essenzialmente una questione di acqua che erode chimicamente una roccia carbonatica. I parametri principali che guidano il fenomeno dell'erosione chimica, altrimenti detta 'corrosione', sono la solubilità della roccia, l'aggressività e la portata dei fluidi. Per quanto ci riguarda, perché la speleogenesi svolga la propria azione, la roccia deve essere carsificabile. Le rocce carbonatiche lo sono. Inoltre, la roccia non deve contenere troppe di quelle impurità che, una volta liberate per azione della dissoluzione dei carbonati, sedimentino come residuo argilloso, e intasino il reticolo freatico, arrestando la carsificazione. L'acqua, dal canto suo, deve essere aggressiva, ovvero ricca di acidi provenienti dal ciclo esogeno, o dal ciclo endogeno (acque termali).

Esiste un altro fenomeno erosivo, guidato da cause fisiche, detto talvolta 'corrasione'. L'erosione agisce in tutti gli ambienti, non solo in ambito carsico. I parametri dominanti del fenomeno fisico sono la durezza della roccia, la natura e l'energia dei processi di trasporto. L'erosione fisica avviene per urto, abrasione, azione termica, cavitazione. L'erosione fisica agisce anche in ambiente marino, dove invece il carsismo non è attivo.

Fatte queste premesse, le condizioni necessarie e sufficienti per la formazione di una grotta sono:

a) La roccia deve presentare un reticolo di fratturazione pre-esistente, cioè le acque devono trovare vie di accesso naturali all'interno del massiccio roccioso;

b) Le acque devono circolare all'interno del massiccio, ovvero devono essere presenti delle differenze di livello tra monte e valle che ne determinino il movimento per azione della gravità. Le acque ferme sono in equilibrio chimico e fisico e non svolgono alcun ruolo nel carsismo.

Le fratture della roccia possono essere descritte come piani di discontinuità della roccia. In base alle caratteristiche geometriche di tali piani, le fratture o, genericamente, le discontinuità, sono raggruppate dagli speleologi in famiglie di orientazione spaziale simile.

I massicci carbonatici sono spesso interessati da famiglie di discontinuità la cui origine è da attribuirsi 1) a comuni vicende geologiche che hanno interessato il massiccio alla scala regionale. In tal caso, su ampie zone del territorio indagato, saranno riconoscibili famiglie di discontinuità orientate secondo una stessa direzione comune, e talvolta sono di rilevante persistenza, ovvero osservabili per una lunghezza elevata. Viceversa, lo stato tensionale della roccia dovuto a effetti circoscritti, determina una 2) distribuzione locale delle discontinuità che si presenta solo in un determinato luogo. È il caso della fratturazione per deformazione gravitativa di versante, per rottura o per crollo.

La sovrapposizione delle diverse famiglie di discontinuità determina un reticolo spaziale di giunti che costituisce la porosità del massiccio roccioso e, al livello della superficie topografica, costituisce il sistema d'ingresso delle acque nel sottosuolo. Già a tale livello, ovvero al livello dell'epicarso, si assiste a un progressivo sviluppo del reticolo che vede alcune vie di ingresso contribuire maggiormente al flusso delle acque complessivo. Le vie caratterizzate dalla maggiore circolazione di fluidi, sono quelle dove i fenomeni di erosione sono più efficienti. Perciò, tali vie, le cosiddette diaclasi,  accrescono la loro larghezza a scapito delle altre. In seguito a successive fusioni di canali adiacenti, il flusso si distribuisce lungo condotti preferenziali di maggiore dimensione. In pratica, lo sviluppo di un sistema speleologico, presenta grandi somiglianze con lo sviluppo di un reticolo idrologico, dove i corsi d'acqua di ordine minore confluiscono in corsi d'acqua di ordine maggiore.

L'erosione scava la grotta e procede verso il basso, dall'epicarso (zona d'infiltrazione) verso la zona di trasferimento verticale o vadosa, sfruttando il reticolo di discontinuità disponibili, fino alla zona di trasferimento orizzontale, o freatica. Dove più discontinuità s'incontrano, determinano uno stato di fratturazione tridimensionale che accresce la capacità di veicolare l'acqua. Con il procedere dell'erosione, la struttura a blocchi della roccia determina anche lo svincolamento di quegli elementi di roccia isolati, individuati dalla geometria delle fratture. L'erosione scava la grotta, ma non tutta la roccia è disciolta dall'acqua. Dove i sistemi di discontinuità s'intersecano, come nei pozzi o nei saloni di crollo, interi blocchi si separano dall'ammasso e si spostano per gravità. Saranno disciolti successivamente, lasciando spazio a grandi vuoti.

Man mano che il carso invecchia, l'erosione spiana il rilievo in superficie. Diminuisce l'energia dei fenomeni fisici di erosione e si accumula materiale in profondità, sotto forma di concrezioni, e di depositi di fango residuale. Questi fenomeni agiscono in direzione opposta rispetto alla generale erosione. Sono fenomeni costruttivi.

La speleogenesi opera su quattro dimensioni. La forma dell'attuale reticolo tridimensionale di una cavità dipende dall'evoluzione di un sistema attraverso le vicende geologiche che ne hanno determinato lo sviluppo. Ecco, quindi, l'importanza del tempo come variabile descrittiva.

L'azione distruttiva dell'erosione tenderebbe a livellare il massiccio roccioso, scavando il fondo delle gallerie fino a raggiungere la base della formazione geologica con profondissimi tagli, proprio come la morfologia di alcune forre, che sono prodotte dall'azione combinata del carsismo sotterraneo e dell'erosione superficiale.

Si spiegano così anche i rami cosiddetti fossili, le gallerie di bypass e le gallerie a sezione di chiave.

Infatti, il processo di approfondimento agisce costantemente lungo tutta la vita di una cavità, e può capitare che, a causa delle mutate condizioni in superficie, si determini un tardivo approfondimento di alcune zone a discapito di altre che fino a una certa epoca avevano costituito le vie preferenziali del deflusso delle acque.

D'altro canto, la sedimentazione di detriti e il concrezionamento riempiono le grotte e determinano la modifica delle condizioni di percorrenza.

Come se tutto ciò non bastasse, i movimenti isostatici della crosta terrestre determinano lenti sollevamenti o abbassamenti delle masse rocciose, le une rispetto alle altre, e rispetto al livello del mare, per cui non è raro che un sollevamento determini un ringiovanimento del massiccio carbonatico, mentre un abbassamento sommerga ciò che era già fossile in un'epoca precedente.

Per quanto riguarda la geometria dei condotti carsici, la morfologia di tutti i complessi carsici rispetta una regola che presenta poche eccezioni. Le grotte sono costituite:

i)  da rami verticali, i pozzi;

ii)da rami orizzontali, le gallerie.

Nella maggior parte dei casi, le deviazioni dell'asse dei condotti dalla verticalità o dall'orizzontalità sono molto piccole. La frequenza di rami con un'inclinazione intermedia è molto bassa. La verticalità è spiegabile con l'azione di erosione delle acque in caduta. L'orizzontalità è spiegabile con l'azione di erosione data dallo scorrimento delle acque. Sono poche, le eccezioni. I rami che hanno uno sviluppo inclinato sono legati soprattutto a vicende di crollo, o all'esistenza di giunti di stratificazione particolarmente erodibili.

La natura dei sedimenti che si accumulano in grotta è legata all'energia delle acque di scorrimento: ai ciottoli, corrispondono alte energie di trasporto da parte delle acque; alle sabbie, medie energie; alle argille, energie di trasporto molto basse. Se il fondo di una galleria in cui scorre l'acqua è costituito da ciottoli, si può dedurre che l'acqua è aggressiva, se è costituito da vaschette o dighe di calcite, l'acqua è satura.

La sezione pseudo-circolare di un condotto orizzontale o verticale, rispecchia una genesi di scavo isotropo, tipico del lavoro carsico sotto battente d'acqua.

I ciottoli arrotondati sono tipici del trasporto in acqua; i clasti poliedrici, non arrotondati, sono tipici degli ambienti di frana o di frattura. Un accumulo di frana tal quale non subisce trasporto. Ciò indica che la frana è avvenuta all'interno di un vuoto preesistente. Tale vuoto era molto probabilmente, una galleria, la cui prosecuzione si trova al di là della frana.

ESPLORAZIONE

Quando l'obiettivo dell'esplorazione è stato già definito, è relativamente semplice stabilire se una squadra sia adatta o meno al compito. Se si tratta di muoversi in una grotta prevalentemente orizzontale e tecnicamente poco impegnativa, c'è poco da discutere. Più siamo, meglio è.

C'è sempre un team leader riconosciuto da tutti, un responsabile dell'uscita che deve chiarire con molta franchezza ai suoi compagni i seguenti punti:

obiettivo principale dell'esplorazione, inclusi gli obiettivi secondari e la composizione delle squadre. L'obiettivo dell'esplorazione è quello di spostare un limite conosciuto e di gettarlo verso l'ignoto. L'esplorazione stessa, nuda e cruda, è un salto nel buio. L'esplorazione è materia religiosa. Bisogna avere il dono della Fede. È naturale che ognuno di noi abbia il diritto di divertirsi come crede, e che preferisca andare in grotta con Tizio piuttosto che con Caio. Ma un gruppo che faccia esplorazione deve porsi obiettivi seri, e perseguirli seriamente. Amen;
valutazione degli elementi critici per la realizzazione dell'obiettivo, rischi e difficoltà. La grotta è un ambiente pericoloso. In esplorazione si fatica spesso, talvolta, si soffre. Bisogna sentirsi profondamente in pace con se stessi per godere della vita in un ambiente freddo, sporco e bagnato: bisogna essere capaci di pensare che più tardi si uscirà e si tornerà a far parte dell'umanità. Più tardi, non ora. Ora c'è solo il freddo e il fango, e quel sacco pesante che non riusciamo a tirare fuori. Non tutti sono in pace con se stessi. La grotta non è per tutti;
assortimento e distribuzione del materiale di gruppo. Che ognuno, indistintamente, trasporti il proprio fardello, nella forma di una sacca speleo;
 rispetto delle norme e dell'ambiente. C'è poco da commentare sul rispetto delle norme di legge, dei regolamenti, delle consuetudini e dell'ambiente. Aggiungerei: c'è poco da commentare sul rispetto del prossimo in generale, inteso come speleo, o escursionista, o proprietario del fondo in cui si apre la grotta. Ne incontrerai molti lungo il tuo cammino e, quelli, incontreranno te. Vale la massima evangelica: tratta il tuo prossimo come vorresti essere trattato tu. C'è poco da commentare anche sul rispetto dell'ambiente cui deve prestare attenzione l'attrezzista, specie se munito di un trapano tassellatore: quel buco che perforerai lungo il pozzo rimarrà lì molto più a lungo della tua apparizione nella grotta. Pensaci, prima di fare un buco in più;
gestione dell'emergenza. Si tratta di approvvigionare e di tenere in buono stato le dotazioni di emergenza, si tratta di istruirsi circa le tecniche di soccorso; si tratta anche, semplicemente, di stimare i tempi di permanenza in grotta e di fornire una predizione attendibile a chi ci aspetta fuori, circa il tempo di uscita dalla grotta. Orario d'ingresso, tempo necessario per raggiungere la zona di esplorazione, durata dell'esplorazione, rientro dall'esplorazione e uscita dalla grotta, pause, imprevisti, tempo di rientro alle auto e disponibilità del segnale telefonico. Non è difficile, è una faccenda di tempi stimati, e di rispettare il metronomo dell'esplorazione.
Se partecipiamo a un'escursione in grotta dove qualcuno dei citati punti non è stato chiarito, non mettiamoci problemi a chiedere che sia trattato. Se solo un punto è stato espresso, e gli altri hanno ricevuto fumose risposte, è ora di cambiare il team leader: noi siamo pronti per fare speleologia seriamente e non abbiamo tempo da perdere! Se nessuno è stato trattato, è ora di cambiare gruppo.

A mano a mano che la progressione diventa più verticale, e soprattutto profonda, il team-leader deve chiedersi se tutti gli elementi umani che vi partecipano siano in grado di dare un utile contributo alla missione. Nel caso, possono essere valutate tre diverse strategie:

cambiare radicalmente l'oggetto dell'esplorazione;
mantenerlo, ma renderlo meno ambizioso;
dividere la squadra in due o più sottogruppi indipendenti che abbiano un diverso obiettivo esplorativo.
Un buon team leader deve avere la capacità di ottenere il meglio, in termini esplorativi, da qualunque situazione personale e ambientale. La semplice ricetta per coltivare gli speleologi novizi è di far sentire ognuno indispensabile, almeno nel suo ruolo, e di programmare la permanenza e le attività in sotterraneo dei membri della squadra in accordo con le capacità di ognuno. Essere buoni coach non è però indispensabile. Se non lo si è capiterà presto che  termineranno gli speleo disposti ad accompagnare il team leader in esplorazione; e in grotta non si va da soli.

La regola base è che ogni squadra deve muoversi alla velocità del suo membro più lento: nessuno può essere lasciato indietro, sempre che questi non lo voglia esplicitamente.

Nelle grotte orizzontali, non c'è un limite numerico vero e proprio alla composizione della squadra. Nel caso che la progressione presenti lunghi tratti in strettoia, o dove sia necessario il superamento di laghi o sifoni singolarmente mediante canotto, può essere necessario dividere il gruppo in due squadre di diversa velocità, con la prima che raggiunge in anticipo l'area di lavoro, e la seconda che giunge successivamente e prosegue il lavoro. È da tenere presente che il lavoro di disostruzione può essere molto faticoso e che cambiare frequentemente l'uomo di punta può rendere il lavoro più spedito.

Nelle grotte verticali, la squadra dovrebbe essere limitata a tre persone. In due, la progressione è veloce, ma la capacità di trasporto è limitata e, in caso d'incidente grave, bisogna essere preparati a restare all'interno con il ferito fino all'arrivo dei soccorsi. Quindi, il numero ideale è tre. Uno attrezza la cavità e gli altri due rilevano. Se si è in numero superiore, può essere conveniente dividere le squadre su diversi obiettivi; per esempio, esplorando la possibilità di eseguire una risalita in artificiale, tema di un prossimo articolo, oppure scaglionare l'ingresso della seconda squadra in modo che la punta esplorativa si avvantaggi dell'arrivo di energie fresche. Chi esplora dovrebbe sempre rilevare gli ambienti nuovi, se non durante l'avanzamento, durante il percorso di rientro. Non è giusto lasciare il lavoro sporco a chi ci raggiunge, dopo che noi ci siamo cinti dell'alloro dell'esplorazione; come non è giusto sopraggiungere una volta che un buco è stato disostruito da altri, e fiondarsi a esplorare oltre, lasciando coloro che hanno fatto il lavoro sporco con un palmo di naso. A questo proposito, sarebbe utile scrivere un articolo sull'etica della speleologia, condensato in un piccolo galateo per uso quotidiano.

Per inciso, il lavoro sporco per eccellenza è la disostruzione. Anche questa attività, ha i suoi attrezzi e le sue tecniche, tutte da adattarsi alle circostanze e alle mani che ne faranno un sapiente uso.

Il mezzo di scavo varia dalla paletta da giardinaggio, in argilla, fino a un picconcino per ciottoli e sabbia. La disostruzione di grossi blocchi, richiede l'uso di un palanchino. La disostruzione in roccia richiede l'uso di una punta e la mazzetta; per la disostruzione in roccia viva, servono un trapano, e le cariche esplosive.

Servono anche un secchio, o una tanica, quando c'e` abbastanza spazio; il sacco speleo diventa un ottimo contenitore per trascinare il materiale fuori da un cunicolo. Per i trasporti verticali, servono una carrucola e un paranco.

L'esplorazione di una cavità può protrarsi per molte escursioni successive. Ogni volta che rientriamo, aumenta la durata della nostra permanenza complessiva all'interno, e l'entità del lavoro. Si tramandano leggende di punte esplorative durate molti giorni di fila, senza che gli alieni in questione cadessero addormentati per più di mezz'ora. Naturalmente, è una questione di resistenza personale. Se all'esterno, però, un'attività prolungata per oltre dodici ore ci costa e richiede, al termine, che ci riposiamo per un lungo periodo, non si capisce come in grotta, dove il consumo di energia è di molte volte superiore, saremo capaci di dare il meglio di noi. Ognuno conosca se stesso! Arriva un momento in cui le punte esplorative hanno una durata superiore alle dodici ore e l'attività speleo incide sui nostri ritmi del sonno. L'esplorazione raggiunge il suo acme. Poi, inizia la lunga risalita verso l'esterno. Ad un tratto, ci rendiamo conto che è un'ora imprecisata della notte. Il corpo sente che è il momento di dormire, ma la prossima tappa, tra ancora molte ore, è il parcheggio dell'auto. Siamo pronti per programmare un campo in grotta.


Sandro Demelas (sandrodemelas@gmail.com)

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